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Fede e benessere psicofisico: cosa dice la scienza?

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Fede e benessere psicofisico: cosa dice la scienza?

Maximiliano Ministeri

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mercoledì 17 Febbraio 2021 - 12:58
Fede e benessere psicofisico: cosa dice la scienza?

Cosa dice la scienza sulla relazione tra fede e benessere psicofisico? Una vita attivamente cristiana produce un miglioramento qualitativo dell’esistenza misurabile oggettivamente? In questa analisi abbiamo interrogato la letteratura scientifica sul tema.

Blaise Pascal avanzava questa scommessa: «Se Dio esiste, si ottiene la salvezza. Se ci sbagliamo, si è vissuta un’esistenza lieta rispetto alla consapevolezza di finire in polvere». Gli studi qui raccolti amplificano e se vogliamo, rendono reale e tangibile questo assunto filosofico, mostrando che la vita cristiana (il 90% degli studi è svolto negli USA o comunque in aree di forte substrato cristiano) è realmente più “lieta”.

Non risulta forse come una prova rilevante a favore del cristianesimo il fatto che esso rende gli uomini più felici, più sani, più liberi, più impegnati positivamente nel mondo, ma soprattutto più consapevoli? “La Verità vi renderà liberi…”.

Il cristianesimo, fonte di libertà e di felicità

Spesso di fronte ai numeri crescenti dei credenti nel mondo, si usa obiettare che sia meglio la “qualità” della “quantità”, sottintendendo che l’esistenza priva di Fede sia più spensierata ed intellettualmente libera e più soddisfacente. Gli studi scientifici dimostrano invece il contrario, il credente cristiano vive una vita qualitativamente migliore dal punto di vista psicofisico.

Occorre però una precisazione: non bisogna cadere in un duplice errore: innanzitutto non si deve ridurre la Fede ad un atteggiamento religioso privo di una reale ed autentica relazione con Dio e di conseguenza ad un meccanismo di cui si vede e si cerca esclusivamente un automatico riscontro egoistico. Gli stessi scienziati che affrontano questi studi ribadiscono spesso che la questione non è spiegabile guardando solo agli effetti benefici di una vita cristiana. Il secondo errore è obiettare superficialmente che questi studi dimostrano l’effetto placebo della Fede.

Questa è una fallacia argomentativa che confonde l’effetto con la causa o se vogliamo il fine con lo strumento: l’effetto placebo è un meccanismo ben identificabile e facilmente distinguibile dagli effetti benefici della fede sulla persona, come ha ben spiegato la psicologa Maria Beatrice Toro.

La fede e l’effetto placebo, la grande differenza

Nell’effetto placebo, infatti, i meccanismi neurofisiologici che sono attivi nei soggetti altamente suggestionabili non risultano sovrapponibili ai fenomeni osservati nei credenti. I meccanismi della suggestione coinvolgono, anche qui, aree specifiche del cervello, che hanno a che fare con i cosiddetti “sistemi del reward”, ovvero quei circuiti neurali che si attivano in base a quanto un’attività sia gratificante.

In particolare, una serie di studi ha approfondito il meccanismo psicofisico indotto nel paziente in seguito alla somministrazione di sostanze che non hanno nessuna reale proprietà farmacologica, ma che in molti casi dimostrati riesce ad alleviare un dolore o addirittura a migliorare lo stato fisico.

Secondo la definizione di Shapiro: «Placebo è ogni procedura deliberatamente attuata per ottenere un effetto o che, anche senza che se ne abbia nozione, svolge un’azione sul paziente o sul sintomo o sulla malattia, ma che oggettivamente è priva di ogni attività specifica nei confronti della condizione oggetto del trattamento. Tale procedura può essere attuata con o senza consapevolezza che si tratti di un placebo». Si tratta di un fenomeno che ha molto a che fare con la suggestione, ma ha caratteristiche peculiari che lo distinguono dagli altri tipi di suggestione, quali l’ipnosi e l’autoipnosi.

Una ricerca condotta dai neurologi del Department of Psychiatry and Molecular and Behavioral Neuroscience Institute dell’Università del Michigan, coordinati da Jon Kar Zubieta, ha individuato, in particolare, un settore del sistema limbico, il Nucleus Accumbens che viene potentemente coinvolto quando si attiva l’effetto placebo. Questo nucleo e il sistema endorfinico della dopamina intervengono, infatti, quando ci si aspetta di ricevere un aiuto e influenzano la risposta alle cure mediche.
Questo non avviene nei credenti cristiani.

La “pratica” del credente attiva meccanismi cerebrali differenti dove sovrapporre l’effetto placebo ai fenomeni legati alla fede, al di là della propria personale posizione sull’argomento, sarebbe comunque, un errore scientifico grossolano.

Fatta questa importante e sostanziale distinzione, vorrei concludere questa breve riflessione con un approfondimento, suggerito dagli studi di Andrew Newborg e Eugene d’Aquili, pionieri nella ricerca dei meccanismi neurobiologici della fede. I due studiosi affermano, riportando l’ampia letteratura in materia, che i comportamenti dei credenti cristiani contribuiscono alla buona salute per la loro capacità di riduzione dello stress e di tutti quei meccanismi ad esso legati.

Una preghiera intima, o la meditazione della Parola di Dio, la partecipazione ad una celebrazione collettiva attivano la funzione parasimpatica del sistema nervoso, rafforzando di fatto la risposta immunitaria agli agenti patogeni, riducendo frequenza cardiaca e pressione sanguigna, nonché la concentrazione ematica di ormoni quali ad esempio il cortisolo.

C’è, però, anche un tipo di attivazione ulteriore, che può essere innescato dalla preghiera intensa e perseverante. Pregare favorisce il raggiungimento della percezione che le cose abbiano un senso unico ed unitario. È il cuore spirituale dell’esperienza, il momento in cui nella mente si apre lo spiraglio della trascendenza, reso possibile dalla struttura stessa del nostro cervello. Le specificità umane rendono infatti possibile questo tipo di relazione e di dialogo, in cui si trascende se stessi; i suoi complessi effetti non si spiegano semplicemente ricorrendo a sovrapposizioni con altre attività e stati mentali(misticismo). 

Se vogliamo indagare la natura di questa capacità dell’essere umano ed i suoi effetti, indiscutibilmente benefici, è importante partire dal fatto che si tratta di qualcosa di diverso, di un fenomeno originale, una peculiarità di funzionamento assunta dalla coscienza umana quando entra in gioco l’esperienza intima e diretta di Dio, con Dio. In Romani 8:11 è scritto: “Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.”

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