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Arabia Saudita, il calvario orribile di Loujan: da 3 anni in carcere per avere guidato un’auto

Voce Contro Corrente

Arabia Saudita, il calvario orribile di Loujan: da 3 anni in carcere per avere guidato un’auto

venerdì 04 Dicembre 2020 - 22:52
Arabia Saudita, il calvario orribile di Loujan: da 3 anni in carcere per avere guidato un’auto

Per le donne occidentali guidare un’auto è fatto scontato. Anzi, quelle poche donne che non lo fanno vengono spesso incoraggiate a prendere la patente di guida per poter acquisire maggiore autonomia e nel contempo contribuire alle necessità della propria famiglia. Per noi è un’azione scontata, per il mondo arabo, invece, scontata fa rima con perseguitata, incarcerata, torturata. È quello che è successo ad una giovane donna dell’Arabia Saudita, vi raccontiamo la sua storia, o meglio il suo calvario.

Arabia Saudita, il calvario orribile di Loujan

Da 3 anni rinchiusa in cella in attesa di processo, Loujain al-Hathloul sta subendo ogni sorta di sevizie e torture, anche sessuali, per il solo fatto di aver guidato un’automobile quando ancora nel suo paese era vietato. “Era” appunto. Adesso, in quello stesso paese le donne possono spostarsi con un mezzo privato in autonomia. Perché, dunque, protrarre la carcerazione di questa ragazza? La risposta si evince pian piano, non appena si apprende che Loujain, 3 anni fa, sfidò il regime della monarchia più oscurantista di tutto il Golfo, quello del principe Bin Salman, Stato dove non vi è un Parlamento e dove vige il wahhabismo ossia l’esistenza di una serie di misure ufficiali, irrazionalmente pericolose, legate ad ideologie arcaiche e patriarcali svilenti per il genere femminile.

Scarcerare una donna per un ipotetico reato che ad oggi non sussiste più sarebbe, forse, come ammettere la propria sconfitta, oppure creare un precedente pericoloso per uno Stato che comunque vuole continuare a considerare la donna un essere inferiore, nonostante le piccole concessioni di facciata fatte per azzittire l’opinione pubblica mondiale. Così, sta succedendo che le autorità saudite hanno deciso di spostare il processo di Loujain in un tribunale speciale che si occupa solo di casi di terrorismo, una mossa che nasconde maldestramente il tentativo di mettere la museruola al dissenso.

La giovane, l’ultima volta che è apparsa in tribunale, era debole e malata, il suo corpo tremava e la sua voce era ridotta ad un filo. Assieme a lei, in aula, c’erano altre tre donne arrestate nel 2018. “Siamo molto preoccupati per la decisione di trasferire il caso in un tribunale che si occupa di terrorismo. Non è il luogo adatto per processare attivisti pacifici per i diritti umani come Loujain al-Hathloul, la cui unica colpa è di avere chiesto un cambiamento e una riforma” ha detto Hashem Hashem, attivista regionale di Amnesty International al Guardian.

Alla fine di ottobre la ragazza aveva iniziato lo sciopero della fame per protesta, ma dopo due settimane le guardie carcerarie hanno iniziato a svegliarla ogni due ore, per diverse settimane e lei, sfinita e senza più alcuna energia per la privazione del sonno, ha dovuto smettere. Il processo di Hathloul è stato già ritardato in precedenza, e anche la famiglia si è detta frustrata dai continui rinvii aggiungendo che il giudice che presiedeva il caso si era occupato della questione per un anno e otto mesi prima di annunciare di non avere più giurisdizione.

Strano? Non per questa parte di mondo (e purtroppo non solo) in cui la giustizia si scontra, nel senso più alto del termine, con il patriarcato sociale e culturale, nonché con l’autorevolezza dell’Islam e dei suoi principi che hanno profondamente influenzato lo status della donna e i loro diritti…figuriamoci il loro coinvolgimento nella politica e nei processi decisionali. Ma questa è un’altra storia.

Alessandra Barbato

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