Scrivono i presuli: «Siamo anche preoccupati che l’art. 5 del disegno di legge introduca il reato di possesso di materiale provocatorio che, considerando la bassa soglia di punibilità in esso prevista, potrebbe rendere illegale persino la Bibbia, il Catechismo della Chiesa cattolica e altri testi ufficiali della Conferenza episcopale inviati alle autorità pubbliche».
Incuriosito da questa nuova ipotesi di reato, sono andato a leggermi per intero l’art.5 della proposta di legge, anche per verificare se le apprensioni dei vescovi scozzesi fossero fondate o frutto di esagerazione. In realtà, viene effettivamente punito il possesso di «materiale minatorio, offensivo e ingiurioso» quando si ha l’intenzione di diffonderlo, o l’intenzione di suscitare odio nei confronti di una categoria di persone definita in riferimento ad alcune caratteristiche, tra cui l’orientamento sessuale e l’identità di genere, o quando è probabile che la diffusione determini un odio nei confronti della predetta categoria.
Già solo il primo presupposto, ossia quello di avere intenzione di diffondere il materiale, crea oggettivamente un problema: per i cristiani la Parola di Dio deve essere annunciata in tutto il mondo fino agli estremi confini della terra. L’annuncio del Vangelo, ovvero la diffusione del “materiale” che va sotto il nome di Bibbia, non è un optional ma il presupposto fondamentale della fede cristiana. Basterebbe questo fatto per dare ragione ai vescovi scozzesi. Per quanto riguarda gli altri presupposti si torna alla casella inziale: l’eccessiva genericità del concetto di odio, non chiaramente definito, crea oggettivamente un problema. È anche probabile che qualcuno possa sentirsi offeso per alcune affermazioni sull’omosessualità contenute nell’Antico Testamento o per alcuni passi rinvenibili nelle epistole di Paolo di Tarso, come la lettera ai Romani o ai Corinzi. Ma in questo caso occorrerebbe essere espliciti circa il bilanciamento tra il diritto fondamentale alla libertà religiosa e quello della tutela della dignità personale. Cosa che il disegno di legge non fa.
Continuando a scorrere il testo dell’art. 5, mi imbatto nel quarto comma, il quale precisa che non si considera reato il possesso di materiale, quando questo appaia, per le particolari circostanze del caso, «ragionevole». Qualcuno potrebbe pensare: «Ecco la soluzione per i vescovi scozzesi». In effetti, cosa c’è di più ragionevole che utilizzare e diffondere un testo sacro come la Bibbia per un credente? Ma non è così semplice, perché il successivo quinto comma spiega quando debba considerarsi «ragionevole» il possesso. Sono contemplate solo due ipotesi: «a) quando le prove fornite sono sufficienti a sollevare la questione della ragionevolezza; b) quando l’accusa non prova oltre ogni ragionevole dubbio l’irragionevolezza del possesso».
Non proprio un capolavoro di chiarezza. Anzi. Con simili testi normativi possiamo affermare, senza ombra di dubbio, che le preoccupazioni dei vescovi scozzesi sono più che fondate. Anche alla luce delle sanzioni contemplate nel progetto di legge che non possono certamente essere definite lievi. La pena massima per il possesso di «inflammatory material» prevede, infatti, la reclusione non superiore a sette anni. I vescovi scozzesi, però, si possono consolare guardando il bicchiere mezzo pieno e pensando che esistono sempre situazioni peggiori. Nella Repubblica Democratica della Corea del Nord, per esempio, il possesso della Bibbia è punito con tredici anni di carcere. In casi particolarmente gravi, poi, è prevista pure la tortura e persino la pena capitale.
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