Da venerdì 3 aprile, in Cina non si hanno più notizie di don Huang Jintong, 60 anni, parroco della chiesa Saiqi, una delle più grandi che riesce a riunire circa 5mila fedeli.
IL RIFIUTO DI ADERIRE ALLA CHIESA INDIPENDENTE
«Il 3 aprile scorso – denuncia AsiaNews – le forze di sicurezza lo hanno prelevato e portato in una località sconosciuta. Alcune ore dopo, Vincenzo Guo Xijin, vescovo non ufficiale (e ausiliare) di Mindong, ha ricevuto una chiamata dalla pubblica sicurezza che gli consigliava di preparare dei vestiti per padre Huang perché per un mese non potrà ritornare a casa. Padre Huang è uno dei circa 20 sacerdoti che non accettano di firmare l’adesione alla Chiesa indipendente».
«Dopo la firma dell’accordo provvisorio fra Vaticano e Cina, il governo – continua AsiaNews – ha lanciato una campagna per azzerare le comunità non ufficiali esigendo da ogni sacerdote di firmare un documento con cui aderiscono alla ‘Chiesa indipendente’, rifiutano rapporti con stranieri, proibiscono l’educazione religiosa ai giovani minori di 18 anni, limitano le attività religiose negli stretti confini delle chiese».
«Per molti sacerdoti – sottolinea ancora l’agenzia di don Bernardo Cervellera – firmare il documento di appartenenza alla Chiesa indipendente significa rinnegare il rapporto con il Papa e la Chiesa universale e diventare dei funzionari di Stato».
LE MANI DELLO STATO SULLA CHIESA
Chi aderisce, infatti, oltre a esibire la bandiera cinese sugli edifici sacri, deve collaborare con la società socialista e sostenere il Partito Comunista Cinese e il suo leader supremo Xi Jinping. Dalla fine dell’anno scorso, sono state chiuse almeno sei chiese guidate da parroci che si sono opposti al regime.
Gabriele Giovanni Vernengo
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