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Coronavirus: la tragica condizione dei cristiani in Corea del Nord

GinaLoPiparo

Coronavirus: la tragica condizione dei cristiani in Corea del Nord

sabato 07 Marzo 2020 - 15:28
Coronavirus: la tragica condizione dei cristiani in Corea del Nord

Nessun caso ufficiale risulta attualmente registrato, ma la Corea del Nord ha intensificato le misure di prevenzione contro il Coronavirus: chiusa la frontiera con la Cina  e intimata la quarantena di 30 giorni per gli stranieri a Pyongyang.

Il leader del Paese Kim Jong-un a fine febbraio aveva sottolineato la necessità di rafforzare le misure di prevenzione e, nel corso di una riunione del Partito dei Lavoratori, aveva anche richiesto controlli e test per ridurre al minimo la diffusione della malattia.

Ufficialmente il Paese non ha dichiarato alcun caso di infezione, ma ad inizio febbraio la provincia di North Pyongyang ha annunciato la morte di cinque persone che hanno sofferto di febbre alta negli ospedali di Sinuiju, vicino al confine con la Cina.

Lo stato ha negato un legame col Coronavirus, ma il Ministero della sanità pubblica nordcoreano suggerisce di mettere in quarantena e trattare i casi sospetti.

Sbarrato dunque il confine con la Cina, i militari impediscono il passaggio di cibo, medicine e materie prime necessarie al funzionamento delle fabbriche. I prezzi – inutile dirlo – sono saliti alle stelle.

Secondo quanto riferisce Open Doors, l’impatto del contagio sul Paese sarebbe non indifferente, data la carenza di servizi igienici e sanitari. «Anche le élite devono razionare le medicine quando scoppiano malattie contagiose», ha dichiarato un ex diplomatico nordcoreano.

Chiaramente la situazione dei cristiani – circa 300mila secondo le stime – sarebbe tra le più gravi in un Paese che li considera quali nemici del regime.

Classificati come membri dell’ultimo strato della popolazione, questi credenti godono di uno status tutt’altro che favorevole, vittime di discriminazioni di vario genere, dall’ambito della salute a quello lavorativo.

Si stima che diverse decine di migliaia di essi, siano attualmente rinchiusi in campi di concentramento. In caso di epidemia, le cure per loro sarebbero pressoché assenti.

Gina Lo Piparo

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