È il risultato di uno studio australiano, dal quale emerge piuttosto il rischio di insorgenza di depressione, ansia e sintomi psicotici.
È il risultato di uno studio australiano, dal quale emerge piuttosto il rischio di insorgenza di depressione, ansia e sintomi psicotici.
Non esistono prove a sostegno della cura dei disturbi mentali attraverso l’uso della cannabis, anzi risulta piuttosto che sia controproducente. Lo dimostra uno studio condotto da un’equipe australiana, guidata dalla scienziata Louisa Degenhardt.
I ricercatori hanno passato in rassegna 83 studi, di cui 42 sulla depressione, 31 sull’ansia e il rimanente su disturbi da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD), disturbi da stress post-traumatico (PTSD), sindrome di Tourette e psicosi, per un campione totale di 3000 persone.
La revisione ha condotto al risultato che esistono «scarse prove che suggeriscono che i derivati della cannabis migliorino i disturbi e i sintomi depressivi» o altre condizioni simili. Non solo, dunque, non sono state dimostrate le proprietà curative delle sostanze in questione, ma addirittura si è rilevato che «può aumentare l’insorgenza di depressione, ansia e sintomi psicotici».
La dottoressa Degenhardt ha pertanto esortato medici e pazienti dei Paesi in cui la cannabis medica è legale a tenere conto dei rischi che possono insorgere dall’uso di quest’ultima, per evitare di aggravare le condizioni di chi ricorre a queste cure sperando nei suoi benefici. «I pazienti che usano cannabis terapeutica – ha dichiarato – devono essere attentamente monitorati».
Sulla questione è intervenuto anche Deepak Cyril D’Souza, professore di psichiatria presso la Yale University School of Medicine. In risposta allo studio australiano, ha affermato che l’uso della cannabis medica per trattare i problemi di salute mentale non può essere supportato. Infatti, «alla luce della scarsità di prove schiaccianti relative all’efficacia dei cannabinoidi, nonché del rischio noto correlato alle sostanze, il loro uso come trattamenti per i disturbi psichiatrici non può attualmente essere giustificato».
Nel mese di agosto il National Institute for Health and Care Excellence (NICE) aveva già formulato un progetto di orientamento dopo aver scoperto che «i potenziali benefici offerti erano piccoli rispetto ai costi elevati e attuali», sostenendo che i farmaci a base di cannabis non dovrebbero essere prescritti per gestire il dolore cronico.
Paul Chrisp, direttore senior di NICE, ha dichiarato che prima dell’analisi l’organizzazione riteneva che mancasse probabilmente una «solida base di prove per questi prodotti per lo più senza licenza. Dopo aver preso in considerazione tutte le prove disponibili, non sorprende quindi che il comitato non sia stato in grado di formulare molte raccomandazioni positive sul loro utilizzo».
Naomi Mezzasalma
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