Il paradosso di dover difendere qualcosa di naturale, in una società che sta distruggendo l’identità ed estirpando le radici.
A distanza di una settimana, a mente fredda proviamo a fare un ragionamento su ciò che ha rappresentato il Congresso Mondiale delle Famiglie tenutosi a Verona nello scorso week-end e degli insegnamenti da trarne per il prossimo futuro.
Innanzitutto si è capito che per parlare di Famiglia e delle azioni politiche da mettere in campo in sua tutela, in Italia bisogna farlo blindati e protetti dalle Forze dell’Ordine.
Un paradosso. Così come altrettanto paradossale è stato vedere mamme, papà e bambini, maggioranza eroica e silenziosa di questo Paese sfilare festanti per le vie della città scaligera scortati dalla Polizia in assetto antisommossa.
Si è capito anche che una parte della Chiesa ha perso il contatto con la realtà e quindi con il popolo, scegliendo di compiacere le élite per farsi essa stessa élite.
Ovviamente non parlo delle migliaia e migliaia di parroci che continuano a spendersi incessantemente nei territori parrocchiali testimoniando la Verità. Mi riferisco a quella parte di Chiesa che su Verona sostiene, alla Spadaro per intenderci, che “siamo d’accordo sulla sostanza, ma non sul metodo e siccome il metodo è anche sostanza non siamo d’accordo neanche sulla sostanza” o a quella delle magliette rosse alla Don Ciotti, tanto impegnata sul fronte migranti da aver abbandonato il fronte delle famiglie italiane, per la quale il Congresso veronese è stato semplicemente “vergognoso”.
Così come abbiamo certamente imparato che una consistente parte dell’associazionismo pro-family all’italiana, quello che vive di prebende e contributi provenienti da quella parte di Chiesa (e quindi da essa stessa direttamente controllata), dopo essere stata apertamente contro i Family Day, ha cercato in tutti i modi di annacquare il buon vino del senso e del valore dell’evento veronese e di mantenere una perfetta equidistanza tra il Congresso e i suoi antagonisti. Proprio come un arbitro che abbia interesse che la partita non si schiodi dallo 0-0, senza vincitori né vinti per continuare ad indirizzare la partita verso un pareggio che richieda infiniti tempi supplementari da arbitrare ancora e ancora, senza che accadi mai nulla, se non il continuare ad arbitrare.
In questo quadro, si configura un’altra certezza: Non c’è unità dei cattolici in politica perché non c’è unità dei cattolici nella Chiesa. Oggi tra gli stessi cattolici ci sono visioni diverse dell’uomo e della Verità, dei precetti e dei principi non negoziabili, del Bene e del Male. Nella Chiesa come nella società.
Oggi tanti che si definiscono cattolici hanno, sull’aborto e sull’eutanasia per esempio, posizioni simili a quelle di Cappato, purtroppo tra questi anche molto consacrati.
E di conseguenza, politicamente si schierano come vogliono, appoggiando e votando chiunque, anche la Bonino o la Boldrini.
È bene tenerlo a mente nel prosieguo altrimenti rischieremmo di non capire il contesto nel quale ci muoviamo.
Ma la lezione più importante, che ci ha lasciato il Congresso di Verona è sicuramente quella della cultura.
Tutti hanno capito che in questo Paese continua ad essere proposto il modello culturale che, cercando da quarant’anni e più di distruggere la nostra identità e di estirpare le nostre radici cristiane e massacrando le famiglie fino a scoraggiarne la formazione di nuove, ha portato al disastro attuale: denatalità, crisi economica, povertà.
Tutti hanno visto, pur con alcune rarissime eccezioni, giornali, radio e televisioni, raccontare del Congresso una storia assolutamente diversa dalla realtà a dimostrazione che cultura (e con essa scuola e università) e informazione sono ancora nelle mani di un sistema di potere che, pur avendo perduto quello politico, ne mantiene ben saldo il controllo.
Anzi, è di tutta evidenza che la veemenza degli attacchi subiti dagli organizzatori e dai partecipanti alla manifestazione veronese è stata direttamente proporzionale alla paura del sistema di perdere l’egemonia culturale fin qui esercitata.
La lezione di Verona ci ha dimostrato che non riusciremo mai a proporre e far approvare normative in favore della famiglia, della vita e della libertà educativa, così come non riusciremo mai ad abrogare quelle che riteniamo ingiuste se prima non ci saremo liberati di questa cultura di morte che ancora opprime il nostro ordinamento giuridico, le nostre scuole, le Università, i mezzi di informazione e le nostre famiglie.
Prima ancora che una battaglia sui diritti questa deve essere una battaglia culturale sui valori mirabilmente sintetizzati nella “Dichiarazione di Verona” adottata per acclamazione al termine dei lavori del Congresso Mondiale.
Noi siamo pronti a combatterla, quanti vogliono unirsi?
A cura di Giuseppe Focone.